venerdì 3 ottobre 2014

Docufilm – “La neve nera. Luigi Di Ruscio ad Oslo, un italiano all'inferno” di Angelo Ferracuti e Paolo Marzoni

La neve nera. Luigi Di Ruscio ad Oslo, un italiano all'inferno ci regala l'occasione per ricordarci di uno scrittore di valore, marginale ed eccentrico, ribelle e sempre politico. Non so quanti lo abbiano letto, benché abbia ricevuto – e a ragione – gli elogi di letterati acuti come Quasimodo e Porta, Fortini e Majorino, Roversi e Volponi. Il documentario girato da Paolo Marzoni su soggetto dello scrittore Angelo Ferracuti e prodotto da Maxman Coop, ha dunque il primo merito di accendere i riflettori sulla vita e sulla produzione di un autore raffinato che scriveva dopo lunghe e dure giornate in fabbrica.

Lo hanno chiamato “poeta-operaio”. Questione di mode critiche e ideologismi. Per Di Ruscio, la definizione è troppo stretta. In fabbrica lo scrittore dovette lavorare per mantenere i suoi quattro figli, senza potersi concedere né un'uscita al cinema né un bicchierino al bar. È anche vero – sono parole sue – che, «senza l'avanzata della classe operaia, non avrebbe potuto scrivere». Ma l'autore marchigiano è un artista “puro” o non potrebbe affermare che «la gioia della poesia è solo poesia».

Se a ciò aggiungiamo che giunse fino al diploma elementare e si formò da autodidatta (per molti, la scuola migliore), possiamo solo immaginare la ricchezza culturale che ha nutrito un'opera esondante l'ufficialità dei canoni letterari imposti al grande pubblico.

E può non aver contato, per Luigi Di Ruscio, l'emigrazione dalla natia Fermo, dove nacque nel 1930, nell'innevata capitale scandinava, dove morirà nel 2011 non insegnando mai ai suoi figli l'italiano? Un italiano che, per lui, era lingua letteraria; il norvegese diventò la sua lingua quotidiana, come il fermiano rimase la sua lingua naturale.

Questi aspetti biografici toccati da La neve nera non possono non incuriosire chi abbia sete di opere complesse e di artisti forgiatori di linguaggi nuovi, benché il documentario ruoti fondamentalmente intorno al tema dell'emigrazione. A Oslo, infatti, il nostro scrittore visse la situazione dei molti che sono «ultimi nel paese da cui partono e ultimi nel paese dove arrivano», ritrovandosi «isolati» e «dequalificati». Anzi, il film di Ferracuti e Marzoni è soprattutto un viaggio nel mondo dell'emigrazione italiana, però svolto puntando lo sguardo su un artista d'eccezione: un'emigrazione dura ma, in potenza, creatrice di nuovo (anche artistico), laddove si accetti lo sradicamento e si rischi l'incontro-scontro.

In definitiva, il regista e lo scrittore fondono una problematica d'attualità, declinandola in modo originale, con la volontà di ricordare un autore rimasto ai margini dei grandi circuiti culturali. La neve nera ricorda a tutti noi, per esempio, che non solo a fine Ottocento emigrammo negli U.S.A., ma che continuammo a farlo, non sempre trovandoci a nostro agio e ben accolti. Ma è anche interessante riflettere sull'influenza che una dimensione trilingue può aver avuto su chi visse di parole e alla ricerca di quei rari momenti di luce che ogni vita può riservare. Per l'artista marchigiano, che «scriveva, si fermava, rideva e ricominciava a scrivere», la diversità era un dono.

Leggete, dunque, Di Ruscio, lo sfaccettato e instancabile operaio emigrante che invita a «non scrivere se non provate felicità sessuale e leggerezza». Un introibo alla personalità dello scrittore lo offre La neve nera. A questo link, intanto, il trailer ufficiale del documentario.

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