lunedì 14 aprile 2014

La sfida al caos di Thomas Bernhard. Appunti di lettura su "Correzione"

«Noi ci costringiamo a non percepire il nostro abisso. Eppure, per tutta la vita, non facciamo altro che guardare giù, al nostro abisso fisico e psichico, pur senza percepirlo.» Così scriveva Thomas Bernhard in Perturbamento (Adelphi, 1995). Il protagonista di Correzione, romanzo che segna una svolta nella produzione dello scrittore austriaco, compie un passo avanti in questa direzione arrivando al suicidio. Della sua sfida all'abisso racconta infatti l'opera, pubblicata in Germania nel 1975 dopo quattro anni di lavoro intenso e ora riproposta da Einaudi nella traduzione di Giovanna Agabio, con prefazione di Vincenzo Quagliotti.
Roithamer è il protagonista, ma non la voce narrante. A raccontare la sua vicenda è un amico d'infanzia che ne ha subito l'influenza e ne ha in parte condiviso il percorso di vita. Entrambi sono austriaci, nati in aree vicine (Altensam il primo, Stocket il secondo), ed entrambi sono fuggiti dal loro Paese natale per approdare in Inghilterra. Ma ad Altensam Roithamer ritorna periodicamente fino a quando decide di stabilirsi nella soffitta dell'amico imbalsamatore Höller. Qui si trincera in un volontario isolamento per concentrarsi su un progetto «immane» da tutti ritenuto folle: la costruzione di un cono nel Kobernausserwald, destinato a diventare l'abitazione per la sua amata sorella.
Il romanzo inizia raccontando l'arrivo nella soffitta degli Höller di quella sorta di alter-ego speculare di Roithamer che è la voce narrante. Se l'"indicibilità", l'"incomunicabilità", l'impossibilità di giungere a un quid definitorio e ultimo sono tra i nuclei filosofici del nostro autore, il corto circuito è evitato attraverso la voce in differita che, a posteriori, tenta di rendere ragione di un percorso ostinato, ribelle, disperato nel suo tentativo di giungere a una verità o soluzione; meglio, a una correzione dell'esistente caotico e oscuro. Un percorso necessariamente fallimentare, che non potrà che condurre all'estinzione.
Nell'antefatto passato anch'esso sotto silenzio, Roithamer si è tolto la vita. L'amico ha, infatti, deciso di trasferirsi nella soffitta degli Höller, pur consapevole del rischio di impazzirvi, per esaminare, ordinare e rielaborare le pagine del manoscritto che il suicida ha ininterrottamente corretto nell'ultima fase della sua vita, mentre portava a compimento il suo progetto. Ma rinuncerà a una rielaborazione che, anch'essa, non condurrebbe ad alcuna verità ultima, bensì solo a un folle auto-annientamento. Tutto è già, per quanto possibile, detto dal manoscritto, che rende conto del tormentato e inutile tentativo di "correggere", attraverso la costruzione del cono, un'esistenza incompiuta, falsificata e amputata da un ambiente circostante ostile o estraneo, e di opporre al dominio del caos universale la costruzione di un microcosmo puro, perfetto, razionale, in cui la felicità sia possibile.
La stessa correzione del manoscritto comporta una progressiva riduzione delle sue pagine, una sua rastremazione, come se un numero minore di parole, anche in contraddizione con le precedenti, fosse sufficiente per “dire”; anzi come se le parole fossero intrinsecamente incapaci di “dire” compiutamente il mondo, non riconducibile ad alcuna logica. Linguaggio e realtà sono scollati (Wittgenstein docet). Ciò non può che condurre alla rinuncia di un'espressione totale e autentica e di una ricerca di una razionalità.
Roithamer ha infatti iniziato a scrivere il manoscritto quando si è accorto che il suo progetto di costruire un cono, perfetta forma geometrica, utopico paradigma dell'ordine e quindi della felicità, ha ottenuto effetti contrari a quelli desiderati. La sorella ritiene (come tutti) l'idea del fratello una follia, e, dopo il compimento del progetto, si spegne fino a morire.
Una morte avvenuta in un luogo che sa di violenza, asprezza, sopraffazione e pericolo, come tanti altri amati dallo scrittore e dai suoi personaggi: eremitaggi immersi in una natura impervia, prepotente e sfidante, tra rupi scoscese e fiumi scroscianti come l'Aurach della Correzione. Luoghi di un'Austria in disfacimento abitata da uomini che hanno rinunciato a recidere il cordone ombelicale coi dettami dei loro genitori e le rigide griglie di una cultura morta, adattandosi all'ambiente circostante. Uomini che hanno accettato di essere soffocati e resi prigionieri senza possibilità di appello, come per una qualche metafisica e ignota condanna. Luoghi dominati da una natura tremenda, invadente e minacciosa, informata e tesa a un caos entropico che si sperava il cono potesse miracolosamente contraddire e vincere. Roithamer aveva deciso di costruirlo dove mai nessun perito fornito di buon senso avrebbe osato edificare: il bosco del Kobernausserwald. Ecco la sua sfida «immane», il cui compimento «spaventa» perché quella sfida si sa essere l'ultima.
Ma l'esistenza di Roithamer, si scopre, è stata tutta una lotta contro l'Altensam in cui è nato e che lo ha sempre denigrato e offeso; contro l'uomo che gli divenne padre quando non voleva più avere figli; contro una madre ipocrita, rozza e perversa; in definitiva, contro la prigione di una finto focolare in cui l'assenza di libertà fisica e psichica ha impedito lo sviluppo naturale e armonioso della sua personalità. Da qui il senso di sradicamento doloroso, la cui unica alternativa è la fuga precipitosa ma prematura, mancando al protagonista i fondamentali strumenti di autodifesa, il senso di protezione e appartenenza, un equilibrato sviluppo emotivo. Una fuga, quindi, destinata al fallimento. «Lui, Roithamer, non si era mai dovuto allontanare da Altensam, per tutta la vita si era solo sforzato di avvicinarsi ad Altensam, di farsi capire là dove farsi capire era sempre stato impossibile ed era un'idea folle e sarà sempre impossibile, così Roithamer, […] perché ad Altensam lui era sempre stato un corpo estraneo.» La lotta di Roithamer è la lotta per creare un ordine, un senso e una felicità laddove sono impossibili. È la lotta per correggere ciò che non si può correggere. Come un corpo estraneo, nella sua perfetta geometria è allora anche il cono innalzato nel Kobernausserwald. Eppure è a quest'opera «immane» che la vita di Roithamer, l'uomo che non riuscì mai a vivere in un mondo che sentisse suo, doveva tendere. Sarà un fallimento perché «l'uomo non può liberarsi di nulla, abbandona il carcere in cui è stato concepito e generato solo nel momento della sua morte».
Senonché il caos che genera disperazione è solo apparente. In un saggio del 1977 (Thomas Bernhard: La geometria delle tenebre), Claudio Magris ha scritto che «Bernhard insegna e dimostra che il caos in fondo non esiste e che tutto è organizzato secondo regole precise, le quali possono apparire confuse soltanto a chi si rifiuti di prendere atto del negativo e lo commisuri in base a vaghi e vacui schemi consolatori e falsificanti, inutili e disarticolati veli stesi sulla putrefazione universale. È il rigoroso gerarchico ordine del male che incrementa l'orrore, perché dall'impero di un ordine non c'è via di scampo».
In Correzione, per la prima volta, giunge tuttavia a supporto una qualche forma di sorriso e ironia. Il romanzo è sigillato da una frase nominale: «Radura». È la dichiarazione che una decisione è stata presa, e seguirà un'azione che non potrà essere raccontata. La radura è il luogo in cui Roithamer si suiciderà ed era il punto di passaggio obbligato nel percorso verso la scuola, che il protagonista, la voce narrante e Höller attraversavano ogni giorno. Quel sentiero che, «come il sentiero della vita, è sempre stato solo un sentiero di dolore, ma nello stesso tempo anche sempre un sentiero di tutte le scoperte possibili e di una felicità sublime». La felicità della scoperta, della libertà, della creazione/costruzione di un'opera d'arte.
Rimane, però, la sfida alla correzione dell'orrore che impregna gli infiniti monologhi di Bernhard, gorghi mossi dall'assillo dell'impossibilità di un approdo a qualsivoglia significato, cambiamento o rinvenimento di un ordine. Il quale può solo essere costruito nell'illusione della sua impermanenza e artificiosità. Sono lunghissimi periodi, in cui ogni segmento ripete variandoli segmenti precedenti, aggiungendo dettagli, specificando, rettificando. Sono spirali di termini che ricompaiono martellanti e ossessivi come, al livello macro della struttura narrativa, temi, eventi, riflessioni tornano rideclinati e arricchiti. Nell'ossessione che si sa perdente a esprimere una verità o una totalità, Bernhard e i suoi personaggi sono trascinati dal fiume in piena della vita e della loro mente concentrata e compulsiva come noi lettori siamo travolti da una prosa che pare non potersi mai fermare, che maniacalmente insegue l'impossibile precisione come Roithamer ha inseguito l'utopia di un ordine inesistente. Fino alla correzione finale. La precisione scientifica in cui Roithamer aveva cercato un'àncora, non è diversa dalla natura invasiva e tendente all'entropia. La scienza, ansiosa di classificare e gerarchizzare, comprendere meccanismi ed elaborare teorie, non permette certo di correggere un universo che non è ordine ma caos. Scienza e natura provengono dallo stesso grembo in cui torneranno a convergere. Roithamer chiede infatti che, dopo la sua morte, il cono venga abbandonato alla natura da cui è circondato. Suprema e ironica, aspra consapevolezza. Ma, almeno, Roithamer ha tentato l'impresa «immane».
Considerato da George Steiner uno dei capolavori della letteratura tedesca del secondo dopoguerra, Correzione parla di Roithamer ma anche di Thomas Bernhard. Sebbene la sua immagine di uomo inavvicinabile e scontroso sia stata in parte coltivata dallo scrittore, come sottolinea Quagliotti nella sua Prefazione, resta che il nostro fu una personalità eccentrica e non facile. Come Roithamer, amava i luoghi solitari e impervi e, come lui, amava camminare a piedi scalzi. Per scrivere aveva «bisogno di avere l'acqua alla gola» e dunque di pause per distrarsi, come Roithamer (ma Bernhard si ricavava sollievo anche scrivendo, ad esempio tenendo acceso il televisore). Come Roithamer, imparò a odiare a tal punto il proprio Paese da proibire dopo la sua morte, avvenuta per tubercolosi nel 1989, la pubblicazione in Austria dei suoi romanzi e la rappresentazione dei suoi drammi. Un'Austria che in Correzione definisce «un ex-centro europeo […] in liquidazione».
Bernhard pensava (comprensibilmente) che «una traduzione non ha nulla a che fare con l’originale». Considerava gli editori che conosceva «strapazza manoscritti» e i critici «delle marionette volgari e rozze… Una muta di bestie dannose». Queste mie righe sono solo appunti di lettura. Per Bernhard, probabilmente, anche troppo. Ma noi vogliamo che si legga Correzione. Anche se in una traduzione fatalmente traditrice. Anche se non “suonato” da un'orchestra, come lui avrebbe voluto.

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