martedì 4 marzo 2014

Visioni - MSF (UN)LIMITED: il documentario dedicato a Medici Senza Frontiere in anteprima nazionale a Bologna


Non potevo perdermi l'anteprima nazionale di MSF (UN)LIMITED, il documentario del 2011 diretto da Peter Casaer e dedicato ai 40 anni dell'associazione Premio Nobel. MSF ha capito che operare sul campo non è sufficiente: è urgente e necessario anche denunciare. Da qui il film che ripercorre la storia dell'organizzazione, intrecciando scene raccolte sul campo a testimonianze di operatori. Un racconto equilibrato, molto attento a quanto si può dichiarare e a quanto non è il caso di affermare a voce troppo alta; non per opportunismo, ma per un'accurata valutazione di ciò che è opportuno o meno dire e, soprattutto, delle modalità in cui dirlo. Non vi sono nemmeno indugi sui dibattiti interni  (e fisiologici) a un'associazione che ha compiuto un lungo percorso riuscendo a raggiungere una dimensione internazionale. Il documentario vuole presentarci MSF, i suoi principi e la loro evoluzione, che non sarebbe avvenuta senza il confronto con i limiti contro cui si scontra qualunque autentica ONG.
Grazie dunque a Kinodromo che, in collaborazione con Sfera Cubica e Locomotiv Club, ha dedicato la serata del 3 marzo a MSF all'interno della rassegna di Internazionale Mondovisioni.

Per l'occasione era presente il responsabile bolognese di MSF a Bologna, Gian Paolo Giacobazzi, oltre a due medici senza frontiere che hanno raccontato le loro ultime esperienze. Valentina Farini è appena tornata dall'Haiti in cui aveva operato già nel 2011, al tempo della devastazione operata dal terremoto e dall'epidemia di colera. In parte soddisfatta per il relativo miglioramento della situazione (almeno ci sono ospedali con acqua ed elettricità, e sempre, ha sottolineato), è anche consapevole che molti degli aiuti umanitari affluiscono nelle casse di un governo corrotto. Pascal Duchemin è invece reduce dal Niger e dalla lotta contro un endemico HIV combattuto a forza di antiretrovirali. La battaglia contro l'AIDS è del resto uno dei punti di forza e d'onore di MSF.
Due esperienze tra le tante di un'associazione (un)limited. Un limite molteplice, ora scivoloso e ambiguo, ora potenziale strumento di crescita, ora sfruttabile a proprio vantaggio.
 
C'è il limite legato alla stessa operatività sul campo. Quanto sarà utile e quale impatto avrà la presenza di MSF sulla popolazione? Porterà alla crescita di una professionalità locale e quindi all'autonomia cui punta l'organizzazione?
C'è il limite del compromesso da farsi, per avere ad esempio accesso a zone di guerra. MSF ha imparato a negoziare sempre, con entrambe le parti, cercando di evitare il rischio dello schieramento o della manipolazione. E di questo si dice orgogliosa. In Cecenia non è entrata grazie agli aerei "generosamente" offerti dai Russi, ma con i propri mezzi.
C'è il limite, a volte, di non poter assistere tutti i feriti di un conflitto di là dalla fazione a cui appartengano.
C'è il limite della consapevolezza che gli aiuti umanitari vengono spesso dirottati. Sicuramente lo saranno in Liberia.
 
C'è il limite dell'urgenza di schierarsi dove non si potrebbe o dovrebbe. Limite che MSF ha deciso di superare affiancando al lavoro sul campo la testimonianza, sfruttando le possibilità offerte dai media e non solo. Ci sono anche i libri. Leggete Noi non restiamo a guardare. Medici Senza Frontiere nel mondo. Lettere e testimonianze (Feltrinelli, 2012). È illuminante.
 
Dan Sermand
Ma prima di arrivare a questa svolta, la storia è stata lunga. I primi tentativi di denuncia risalgono agli interventi nell'Etiopia degli anni '80 martoriata dalla carestia. Seguì l'espulsione degli operatori. Oggi, dopo un percorso di crescita e l'accumularsi di esperienze nei più vari luoghi del mondo, la scelta è presa: far conoscere. Perché «neutralità non significa neutralità di coscienza», citando le parole di Dan Sermand. Le stragi attuate col gas durante la guerra tra Iraq e Iran obbligarono, da questo punto di vista, a una profonda riflessione.
 
C'è anche il limite imposto dalla necessità di proteggere gli operatori. Siamo nel Ruanda del 1994: si sta mettendo in atto un genocidio che costerà la vita a un milione di persone, tra cui 250 operatori di MSF. Che fare? Restare ancora, quando in un ospedale installato da MSF, dove vige il divieto di entrare con le armi, fanno irruzione guerriglieri hutu che di armi ne hanno e in abbondanza? Restare, quando agli hutu viene imposto di uccidere a colpi di fucile o di machete i tutsi presenti, pena la morte? C'era una donna incinta di sette mesi, in quel campo. Era hutu, ma moglie di un tutsi. «Sono hutu», dice lei per salvarsi. «Ma tuo figlio sarà tutsi», è la replica. Tutto ciò accadde il 23 aprile. 150 civili furono massacrati sotto gli occhi dei medici senza frontiere. Restare dunque? E, in ogni caso, come fare i conti con la propria impotenza?
 
Christine Schmitz
Come agire nell'ex-Jugoslavia della pulizia etnicaSrebrenica 1995. MSF è presente in una delle enclaves che dovrebbero servire a proteggere i bosniaci musulmani. Arrivano i serbo-bosniaci. Ordinano di trasportare la popolazione alla sede O.N.U. Lì sarà garantita una maggiore tutela, si ipotizza. Gli operatori rimangono nell'enclave deserta con pochissimi pazienti. Che fare? Si va anche noi alla sede O.N.U., si dicono. E partono trasportando i pazienti sui loro mezzi. È Christine Schmitz a raccontare con gli occhi umidi cosa accadde. Le donne e i bambini furono separati dagli uomini, segregati in case in attesa dell'esecuzione. In una sede O.N.U. L'ex-Jugoslavia fu il momento della svolta. Bisognava denunciare, «pena la complicità». Così ancora Dan Sermand.
 
Denunciare  e non smettere di operare, anche se certe scene saranno impossibili da dimenticare. Perché, finché sei sul campo, l'energia da adrenalina ti soccorre. Ma poi è il momento dell'elaborazione di quello che hai visto e vissuto. Ed è tutt'altra questione. I MSF però la affrontano. Vanno avanti, nonostante e anche grazie ai limiti.
 
MSF (UN)LIMITED non ci racconta insomma solo la storia di un'associazione umanitaria; anzi, insiste sui limiti di MSF (e di ogni organizzazione no profit fedele ai suoi principi programmatici). Ma, parlando di quei limiti, denuncia anche certi aspetti delle realtà in cui MSF ha operato. Così facendo, denuncia certi meccanismi propri del mondo degli aiuti umanitari e certi modi di fare guerra e politica.
Credo che MSF abbia ben capito come, con intelligenza ed eleganza, valorizzare la propria associazione e insieme denunciare. MSF ha ben capito come fare opera di testimonianza.
 

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