venerdì 28 marzo 2014

Intervista a Licia Troisi, la scrittrice fantasy italiana più letta nel mondo

È un piacere incontrare Licia Troisi al Bologna Children's Book Fair 2014. Figura sottile, capelli tagliati corti corti, occhi scuri e brillanti, un sorriso amichevole e caldo: così si presenta la scrittrice fantasy italiana più letta nel mondo grazie alle saghe del Mondo Emerso, della Ragazza Drago e dei Regni di Nashira. L'ultima fatica letteraria della prolifica autrice romana, classe 1980, è Il sacrificio (Mondadori, 2013).
Licia mi saluta col suo piacevolissimo accento e mi accorgo subito della sua vivacità solare e aperta. E l'intervista si trasforma in una conversazione.
 
Licia, tu sei una scrittrice giovanissima eppure già affermata. Com'è stato però il tuo esordio? È stato difficile trovare il primo editore?
Assolutamente no. Io sono una persona molto molto fortunata. Ho mandato il manoscritto a una piccola casa editrice romana, che tra l'altro scoprii essere a pagamento, e alla Mondadori. La piccola casa editrice non si è mai palesata. Era un concorso... La Mondadori invece si è fatta sentire dopo quattro mesi. Ho incontrato Sandrone Dazieri e lui mi ha detto che erano interessati alla pubblicazione. Credo che siano veramente rari casi come il mio.

Quando hai iniziato a scrivere? Ti sei rivolta subito verso il fantasy?
Io in realtà ho cominciato a scrivere quando ero molto piccola, a sette anni. Quindi fantasy per forza, perché mi ispiravo alle favole che mi raccontava la mia mamma e a quello che vedevo alla televisione. Comunque, l'elemento del fantastico è sempre stato presente in tutto quello che ho scritto. In qualche modo fa parte di me. Non è stata una scelta consapevole. È semplicemente l'ambientazione nella quale mi trovo meglio a raccontare le mie storie. Da quando ho cominciato a scrivere fantasy, cioè a 21 anni. All'inizio era solo un hobby, poi è diventato qualcosa di importante.
 
Che cosa ti affascina del fantasy?
Non lo so. Sono tutte quante cose che vedo ex post. Il fatto che ci sia un'ambientazione non tecnologica a me piace molto, perché io sono sempre vissuta a Roma, per di più in periferia, per cui l'elemento naturale è sempre mancato moltissimo nella mia vita. L'ambientazione non tecnologica mi permette di recuperarlo. Poi c'è l'idea del duello all'arma bianca che mi è sempre piaciuto molto, perché permette di recuperare tutti gli aspetti più crudi della guerra che nei resoconti per il pubblico vengono un po' cancellati. Poi, secondo me, il duello è una bella metafora di due personalità che si scontrano e modificano la propria visione della vita in seguito a questo scontro. Poi io ho una fascinazione per i draghi. Non so perché. Uno dei primi giocattoli che ho avuto nella mia vita era un draghetto di gomma di Elliott il drago invisibile. Evidentemente questa cosa mi ha traumatizzato, non lo so... Il drago e quindi il fantasy, viene automatico.
 
Parlavi del tema della guerra e di come viene raccontata. Un tema “impegnato”. È stata presente fin dall'inizio questa tua consapevolezza?
Sì. Credo che derivi anche dal periodo storico. Io ho cominciato a scrivere le Cronache più o meno nel 2001, quando siamo entrati in una nuova fase della storia dell'umanità, nella quale siamo tutt'oggi. La guerra era abbastanza presente come idea. Era prossima la seconda guerra in Iraq... Comunque, io ricordo che da bambina – avevo 10 anni – ero stata molto colpita dalla prima guerra in Iraq. E col tempo mi sono resa conto di come questa guerra veniva raccontata: tipicamente come asettica, in cui hai il tuo aeroplanino, a volte senza nemmeno il pilota, che butta giù la bomba, però non vedi gli effetti evidenti di dolore e di morte causati da questa bomba. Secondo me, c'è una rimozione presso la nostra società di tutto ciò che di terribile comporta la guerra, anche perché fortunatamente sono 70 anni che noi questa guerra non la vediamo. Però dimenticare questo aspetto è estremamente pericoloso. Per cui mi piace che venga richiamato. E la letteratura è un modo di farlo.
 
Quali letture avevi alle spalle, dato che, quando hai iniziato a scrivere, in Italia il fantasy non era ancora così diffuso?
Infatti non avevo letto tanto fantasy, solo i capisaldi. Conoscevo Tolkien, di cui avevo letto sia Il Signore degli Anelli sia Lo Hobbit sia Il Silmarillion, quest'ultimo in inglese perché me lo aveva portato mio padre da Londra. È stata dura perché io avevo appena iniziato a studiare l'inglese, e il libro è scritto in inglese arcaico. Poi avevo letto un po' di Marion Zimmer Bradley e la Rawlings. Lo conoscevo un po' meglio dal punto di vista dei fumetti di cui mi ero appassionata in quel periodo.
 
Quindi l'ispirazione per la creazione dei tuoi libri...
È trasversale: passa anche attraverso fumetti, cinema, canzoni...
 
Potresti fare qualche esempio?
Sicuramente sono stata influenzata dal punto di vista visivo dal Signore degli anelli. Il modo in cui vengono rappresentate le battaglie credo che in qualche modo abbia influenzato il mio modo di raccontarle, oltre ad averle influenzate il cinema che però è venuto dopo. Ma certe volte può trattarsi solo di posti che hanno colpito la mia immaginazione. Per dire, ho visitato in Abruzzo un posto che si chiama Gole di Celano ed è un canyon. Uno non pensa mai che i canyon possano esistere in Italia e invece ci sono. È un torrente che d'estate è secco, quindi si può percorrere, e si trova tra due pareti di roccia altissime che distano nei punti più stretti un paio di metri, per cui allarghi le braccia e le tocchi. Era un posto che mi aveva profondamente colpito e l'ho inserito nelle Due guerriere. Oppure avevo visto un servizio su un giornale su una cava in Messico dove avevano trovato dei giganteschi cristalli. Mi aveva colpito ed è all'interno di un libro.
 
E un esempio di film che ha nutrito la tua immaginazione?
Ma... visivamente non lo so. All'inizio la cosa in cui ero entrata veramente tantissimo era Il signore degli anelli, che era un po' l'evento, diciamo lo “Star Wars” della mia generazione. Quello però non è nemmeno il mio film preferito. Mi piace di più, anche se non è tanto vicino alle cose che racconto, Il labirinto del fauno di Guillermo del Toro, che ha molto presente la componente dell'horror, ma ha una forza visiva assolutamente straordinaria.
 
So che sei un'astronoma e hai terminato un dottorato in astrofisica. Quanto i tuoi studi hanno influenzato le tue opere, se lo hanno fatto?
Inizialmente poco, devo dire. C'erano solo piccoli riferimenti che richiamavano questo mio altro lavoro, che è diventato invece un elemento molto forte nell'ultima saga. Al centro dell'intreccio c'è proprio un oggetto astronomico, che è un sistema binario che si può vedere nel cielo abbastanza agevolmente. È proprio un elemento dello sviluppo. È una nova, che può svilupparsi quando due stelle si girano intorno. Una è una gigante rossa molto grande e non molto calda; l'altra è una nana bianca, molto piccola ma molto densa e molto molto calda. Quando sono abbastanza vicine, la piccola riesce a succhiare materia alla grande, questa materia ci cade sopra e la riscalda. Se si accumula a sufficienza, causa un'esplosione termonucleare. Quindi la stella brilla ed è una nova. In un capitolo del mio ultimo libro c'è dunque una lezione di astrofisica.
 
Non giochi mai con le leggi dell'astrofisica nei tuoi romanzi?
No, non tantissimo. Ci sono delle cose evidentemente impossibili, però io ho sempre immaginato la magia nei miei mondi come un altro modo di intendere la scienza, che è sempre stata presente nella mia vita, perché i miei genitori erano di formazione scientifica. Per dire, in casa mia girava la versione italiana di Scientific American. Qualche volta da piccolina lo leggevo anche. Quindi è una cosa che fa parte di me. La magia è per me una trasposizione in termini fantastici della scienza. Anche questo elemento è forte soprattutto nell'ultima saga. Ci sono molti personaggi, uno in particolare, che sente il richiamo alla conoscenza, a voler capire come funziona il mondo.
 
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi punti di riferimento?
Io leggo di tutto. Il fantasy non è nemmeno la parte preponderante. Ma il libro che mi ha influenzato maggiormente a livello di poetica è stato Il nome della rosa di Umberto Eco. L'ho scoperto a 15 anni, è diventato il mio libro preferito e lo rileggo annualmente. Tra l'altro, nell'edizione che ho a casa, che era di mio padre e che ho rubato, alla fine ci sono le postille in cui c'è tutto un discorso sul modo in cui Eco ha elaborato il romanzo.
 
Faccio l'avvocato del diavolo. Sai che il fantasy è considerato un genere destinato al divertimento, e non vera e propria letteratura. Insomma, un genere da bestseller. Tu cosa opporresti a queste affermazioni?
Che non c'è niente di male. Io vorrei lo sdoganamento del divertimento. Secondo me, la ragione per cui siamo messi come siamo messi, dipende dal deprezzamento del divertimento. Perché la gente non legge? Perché ai bambini la lettura è rappresentata come un obbligo, come una cosa pesante: lo devi fare perché ti arricchisce... E pochissime persone mettono invece l'accento sul fatto che è prima di tutto una cosa bella a farsi, piacevole, divertente. C'è questa idea che le cose divertenti siano deteriori. Io quando leggo un bel libro mi diverto. Divertimento inteso in senso lato, come capacità di entrare all'interno della storia, di farmi appassionare. Per esempio ho letto Yellow birds di KevinPowers che parla della guerra in Afghanistan, e mi sono divertita, tra virgolette, perché quando ho letto quel libro non riuscivo a pensare ad altro. Io ero sul campo di battaglia. Io ho vissuto la guerra con quel libro. Anche il deprezzamento della trama... “No, è meglio il romanzo sperimentale, fare considerazioni filosofiche...” Boh, lascia un po' il tempo che trova.
 
Vorrei parlare dei temi presenti nei tuoi libri. Penso ad esempio all'eroina del Mondo Emerso, che è dura, deve ancora scoprire se stessa e ha bisogno di aiuti, ma alla fine arriverà a scoprire i suoi poteri e accettarli, in qualche modo. Come sono maturate in te queste tematiche, al di là dei topoi del genere?
Questi temi mi hanno sempre ossessionato e hanno sempre fatto parte del mio percorso esistenziale. Ho sempre visto la mia vita come un percorso alla ricerca del mio posto nel mondo, soprattutto della comprensione di me stessa e della lotta contro le mie debolezza e i miei problemi. Prendi ad esempio il tema del corpo. Io sono dimagrita molto. Sono sempre stata in sovrappeso da ragazzina; poi, quando mi sono sposata, sono dimagrita quindici chili. E piano piano ho cominciato ad acquisire consapevolezza del mio corpo e a riuscire finalmente a sentirmi nella pelle giusta. Le tracce di questo processo sono presenti nei miei libri.
 
Quali altre tracce autobiografiche che ti senti di nominare sono presenti nei tuoi romanzi?
Be', ho da poco finito di scrivere un libro che uscirà alla fine dell'anno. È la prima volta che ho inserito esperienze autobiografiche sul mio essere madre, quindi sulla mia famiglia. È sempre un fantasy, ma ho tirato fuori una cosa che, da quando sono diventata madre, è diventata fondamentale nella mia vita, cioè la paura della perdita. Credo che accomuni tutte le persone che hanno una famiglia. Io ho il terrore di perdere quello che ho. E devo dire che è stato, da un certo punto di vista, molto bello scriverne, ma anche molto doloroso. Sono paure molto profonde, e portarle alla luce...
 
Titolo?
Top secret. Comunque è un libro po' particolare. Non fa parte di nessuno dei progetti che sto portando avanti adesso. È un one-shot che è venuto fuori un po' così. Ha anche una struttura un po' particolare. Una parte di questa struttura è dedicata a questo tema.
 
Richiami almeno in parte autobiografici sono presenti anche nell'ambientazione romana del primo libro della Ragazza Drago?
Sì. Perché l'altro elemento divertente del fantastico è quella di giocare col nostro, di mondo, pieno di zone d'ombra che possono essere riempite da elementi fantastici. Quindi avevo voglia di parlare di posti che mi sono molto cari, per svariate ragioni, e metterci dentro colpi di fantastico. A Roma c'è il Vulcano Laziale, che non è nemmeno considerato completamente spento, ma è molto molto quiescente da decine di migliaia di anni. È una zona molto particolare con bellissimi laghi vulcanici e una vegetazione molto selvaggia. Il turista medio non la conosce. I romani invece sì e ci vanno tanto. Anche Benevento è da riscoprire. C'è la leggenda delle streghe. La prima volta che ci sono andata con mio marito, che è appassionato di storia romana... Praticamente in tutti i palazzi del centro almeno un mattone è una lapide o un'iscrizione romana... Oppure la chiesa di Santa Sofia...
 
E tutte queste sono sollecitazioni, per te che sei molto visiva. Essendo così onnivora e visionaria, come gestisci il processo della scrittura?
Cerco di essere molto metodica. C'è un momento in cui le idee sono completamente libere. Quando si avvicina il momento di scriverle, comincio ad appuntarmele, scarto quelle che non portano da nessuna parte, cerco di tirarci fuori una trama, faccio gli schemi dei personaggi, delle ambientazioni e della trama. Arrivo prima ad avere un piano generale della saga, se è una saga. Poi mi faccio uno schema preciso dei capitoli che devo scrivere. E solo in quel momento comincio a scrivere. Naturalmente è uno schema fluido. Classico esempio: comincio con 20 capitoli di schema e alla fine sono 40. Però ho la mia mappa-guida che mi permette di capire dove sono e dove sto andando. Poi cerco di scrivere tutti i giorni un certo numero di pagine.
 
Quindi c'è molta disciplina?
Sì, è proprio un lavoro lavoro.
 
Forse possiamo capire qualcosa di più del tuo mondo anche se sappiamo quali
sono i personaggi che ami di più.
Ce ne sono due, ormai. Ido, quello classico, lo gnomo che si trova in sei libri, nelle Guerre e nelle Cronache. Lo amo perché rappresenta uno dei pochi personaggi genuinamente adulti, nel senso che è una figura positiva di adulto, un maestro, e ce ne sono pochissimi nei miei libri. E poi mi piace tantissimo anche Saiph, che è il co-protagonista dei Regni di Nashira. È un personaggio che ha cominciato a interessarmi fin da subito: è schiavo, ma ha la capacità di trovare sacche di libertà anche all'interno della sua condizione di schiavitù, rifiuta completamente la violenza ma riesce ugualmente a cambiare il mondo.
 
Da questo punto di vista, mi potresti spiegare qual è la tua idea di destino e di libertà? Essere sé stessi è essere liberi o no?
In realtà io credo di usare il destino principalmente come meccanismo narrativo, proprio perché tutta la vita è una lotta per la libertà, ma quando la raggiungi ti fa paura. Ci sono questi due estremi: da una parte il voler essere liberi e dall'altra il volersi in qualche modo piegare a qualcuno che ti dica cosa devi fare della tua vita, perché è più semplice. Secondo me, avere un personaggio che è gravato da un destino è un modo molto buono per rappresentare questa dicotomia. Poi, prima di essere astrofisica, ho fatto il liceo classico, e il destino è “il” tema della cultura classica.
 
Quale pensi sia la tua firma originale nel mondo fantasy?
Quello che mi caratterizza maggiormente sono le eroine femminili. Poi francamente non lo so, perché ho difficoltà ad avere uno sguardo oggettivo su quello che scrivo. Non riesco a rileggermi: provo veramente orrore di fronte a quello che ho pubblicato. Ogni volta penso: “Questa cosa mi è venuta male, questa cosa non funziona”... Meno male che ci sono gli editor.
 
Passando a parlare del tuo pubblico, i tuoi libri sarebbero destinati agli adolescenti. Tu intendevi scrivere per l'adolescenza?
No. Forse è accaduto perché ero vicina all'adolescenza o perché c'è molta adolescenza in me. Non lo so. Però, quando ho cominciato a scrivere le storie, le ho scritte così. Poi la prima volta che ho incontrato Sandrone Dazieri, che è a tutt'oggi il mio editor, lui mi ha detto subito: «Guarda, questi sono libri per ragazzi».
 
I motivi, secondo te?
Fondamentalmente sono tutti libri di formazione. C'è sempre un personaggio abbastanza giovane che ha a che fare con problematiche tipiche dell'adolescenza. Una delle cose che torna tantissimo nei miei libri è la non identità tra il corpo e lo spirito. Ci sono tantissimi personaggi che hanno un'apparenza che non corrisponde a quello che realmente sono, ad esempio personaggi vecchi che sembrano giovani o spiriti chiusi nel corpo di un altro. Questo è, secondo me, un aspetto tipico dell'adolescenza, nel quale un ragazzo si può riconoscere facilmente. Poi c'è tantissimo la ricerca del sé, del senso, di un proprio posto nel mondo. Una ricerca che attraversa tutta la nostra vita. Questa è anche la ragione per cui non mi piace parlare di “adolescenza”, perché secondo me in questa età c'è in nuce, moltiplicato per cento volte, quello che succede in tutto il resto della vita. Poi c'è anche un pregiudizio generale della società italiana per cui il fantasy è percepito come un genere per ragazzi. Io credo comunque che i miei siano libri per ragazzi.
 
Che idea ti sei fatta degli adolescenti di oggi?
Parlando di adolescenza, a me viene solo un orrendo termine inglesizzato che viene dalla scienza: “biasata”. Bias è un termine scientifico: è il livello zero dello strumento. Certo io conosco solo gli adolescenti che leggono. Ma a me sembra un mondo straordinario. Tutta questa gente che si lamenta della gioventù senza futuro, “biasata” appunto... Io sinceramente non la vedo. Sono i giovani di sempre. Sono probabilmente, rispetto alla mia generazione, più disillusi perché sono cresciuti in una società estremamente cinica, in cui vengono bastonati tantissimo quelli che hanno ideali più alti. Alla mia epoca era un po' più di moda interessarsi di politica e appassionarsi molto del mondo. Vedo che loro tendono maggiormente a ritrarsi. Ma questo, secondo me, è un problema generale di contesto sociale, una tendenza generalizzata a disinteressarsi.
 
E cosa pensi della letteratura per adolescenti?
È molto variegata. Leggo molto di quello che esce. Quando ero ragazzina io, non esisteva proprio. È un mondo che è nato sostanzialmente a partire dal 2000. È molto bello che ci sia perché, secondo me, è un ottimo modo per avvicinare i giovani alla lettura. Per me non è stato così semplicemente perché i miei genitori mi hanno iniziato fin da quando ero piccola. Io, all'età dei miei lettori, ero passata direttamente alla letteratura per adulti. Però, secondo me, per chi non ha i genitori o la scuola che spingano, la letteratura per adolescenti è fondamentale.
 
Quali consigli daresti a un giovane scrittore?
C'è un consiglio un po' stupido ma che ho imparato essere importante, ed è leggere tanto. Purtroppo mi è capitato più di una volta di incontrare persone che mi dicevano: “Ah, voglio scrivere un libro, ma non ne ho mai letto uno”. Poi ho scoperto che esistono anche persone che vogliono scrivere di genere, ma non leggono di quel genere perché se no finiscono che rubano le idee. No, anche questo direi che non va. Quindi: leggere moltissimo, e di tutti i generi, senza chiudersi necessariamente nel genere che si vuole praticare o escludendo quel genere a priori. Poi un modo buono per autoprodursi è cominciare a cercare un pubblico, per esempio in rete. Quindi aprire un blog, ad esempio. Anche sui siti di fanfiction ci sono molte opportunità. Oppure c'è 20lines, ad esempio, un sito di scrittura creativa in cui ognuno posta 20 righe di una storia e gli altri la possono continuare. È divertente e un buon modo per mettersi alla prova, anche perché ci sono i commenti.
 
Tu hai mai provato?
Sì. Ho scritto una storia... È stata una cosa un po' particolare per me, perché io sono abituata ad avere il controllo totale, dall'inizio alla fine. Però è divertente.
 
Tra i consigli, rientrano anche quelli di lettura. Quali sono i libri che hanno avuto influenza su di te o che raccomanderesti?
A parte Il nome della rosa, un libro che per me è stato fondamentale sono stati I fratelli Karamazov, che ogni tanto vado a riprendere e ne rileggo brani scelti. Io adoro il monologo del Grande Inquisitore, secondo me una delle pagine più belle che siano mai state scritte. Lo consiglio anche ai ragazzi, perché uno pensa sempre a Dostoevskij come a una mattonata in fronte. Invece, tutto sommato, secondo me non è vero. Poi... questa secondo me fa ridere... I Promessi Sposi. Sarà che viene fatto studiare a scuola e ha lo stigmate della roba pallosissima, ma è uno straordinario libro di genere. La “paraculaggine” con cui Manzoni riesce a gestire la storia, a tenerti avvinto, a inserire tutti gli elementi che possono piacere. Secondo me, c'è da imparare anche per tanti scrittori contemporanei. Yellow birds è un libro necessario. E poi un libro che ha ossessionato la mia infanzia: Il barone rampante. Lo adoravo. È un po' strano. Ma anche quella è l'adolescenza. Non è un libro per un lettore di primo pelo, ma secondo me per un ragazzo è bello.
 
Non hai citato nemmeno un autore fantasy...
Be', l'autore fantasy che preferisco si chiama Jonathan Stroud, un inglese che ha scritto la Trilogia di Bartimeus. Parla di un demone millenario ed è ambientata in una Londra distopica, in cui esiste la magia, ma i maghi sono solo capaci di evocare i demoni, che poi praticano al loro posto delle magie perché sono loro schiavi. Quindi c'è questa differenza nella società: i maghi dominanti e i comuni sottomessi al dominio dei maghi. Lo trovo geniale, perché ha una grande capacità di introspezione nei personaggi e di rappresentare tutti gli aspetti anche più meschini dell'essere umano. E contemporaneamente è molto divertente. Ha scritto anche un altro libro straordinario che è La valle degli eroi, in cui rielabora il concetto di eroe classico: lo distrugge e lo ricostruisce in un'altra forma che è quella attuale. E poi è divertente!
 
Grazie molte, Licia.

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