venerdì 3 gennaio 2014

Tra mito della democrazia e oligarchie, secondo "Intervista sul potere" di Luigi Canfora e "La felicità della democrazia" di Zagrebelsky

Non so (o forse sì) perché oggi sento l'urgenza di parlare di un incontro a cui ho assistito l'estate scorsa. Forse per il titolo: Democrazia e oligarchie. Faceva parte della rassegna bolognese Stasera parlo io all'Archiginnasio, organizzata dalla Libreria Coop Zanichelli in collaborazione con la Biblioteca dell'Archiginnasio, nel cui elegante palazzo cinquecentesco progettato dall'architetto “Terribilia” (vero nome Antonio Morandi) si sono susseguiti incontri-dialogo tra autorevoli scrittori e intellettuali.
A me è capitato di esserci quando erano presenti Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky. Coordinatore Giuseppe Laterza: Canfora ha in effetti pubblicato Intervista sul potere per Laterza nel maggio 2013, e per la stessa casa editrice Zagrebelsky (con Ezio Mauro) ha dato alle stampe nel 2011 La felicità della democrazia. Un dialogo.
Ricordo la voce sonora, lo spirito arguto e il vivace senso dell'umorismo del filologo e storico classico alternarsi alle riflessioni del giurista, tra richiami al mondo antico, riflessioni storico-filosofiche e inevitabili agganci ora gravi (Zagrebelsky) ora comico-satirici (Canfora) alla ben nota crisi politico-economica non solo italiana.

La conversazione verteva, essenzialmente, sul problema dell'oligarchia vista come gruppo chiuso, al comando non per merito ma per sete di potere e di denaro, dove l'uno alimenta l'altro con la voracità irrazionale che segna la differenza tra il genere umano e quello animale, secondo Zagrebelsky. Per quest'ultimo, tutta colpa – Lucrezio docet – della nascita della proprietà privata e del denaro che ne rappresenta la monetizzazione. Del resto già Platone, nella sua discussa Repubblica, aveva messo in guardia dalla democrazia tanto quanto dall'oligarchia.
Poi è intervenuto l'illuminato filosofo Canfora, affermando che il mito delle democrazie occidentali originatosi nel secolo scorso, soprattutto in risposta e contrapposizione ai totalitarismi, ha generato una suggestione collettiva da cui, nonostante o forse grazie ai media, ci stiamo risvegliando. La democrazia, come si è realizzata storicamente, sarà forse il migliore dei mondi possibili, ma autentica democrazia non è; semmai è dominio mascherato di oligarchie potenti e temute. Hitler con la sua notte dei lunghi coltelli e Stalin col suo terrore non avevano forse voluto annientare oligarchie divenute troppo ingombranti rispetto alle loro? E la nostra democrazia non mette forse in atto strumenti, certo più mediati e mascherati, per raggiungere gli stessi scopi, in un gioco di scacchi di cui spesso a molti cittadini sfugge il senso quando non la stessa esistenza? 
Per questo Platone optava per un'aristocrazia, un “governo dei migliori”, senza remunerazioni materiali, forniti di strumenti culturali adeguati e motivati unicamente dalla volontà di ben governare. Utopia certo. E, come tutte le utopie, necessaria a ricordare come dovrebbero andare le cose. Purché non ci si perda in sogni anacronistici da costruzione di uomini nuovi o forme di governo fantasticamente alternative o inattuabili. Ché la meritocrazia, l'uguaglianza davanti alla legge, il distacco dai beni terreni mai sono stati prerogativa umana se perfino un Cicerone, ricordava Canfora, inanella una serie di lettere di raccomandazioni che occupano tutto il XIII libro delle sue Epistulae ad familiares. E se, come scriveva lo storico Eduard Meyer, anche i gatti di Costantinopoli si erano organizzati in forma statale rigorosamente organizzata.
Ovvio che il dialogo puntasse a far riflettere sulla possibilità di rivitalizzare la democrazia in un'epoca di dominio delle oligarchie palesi, velate o sotterranee; in un tempo di egemonia economicistica, di impossibilità di interventi efficaci da parte dei governi nazionali e di assenza di organismi sovranazionali forti. Senza tralasciare il pericolo della “servitù volontaria” di cui parlava Étienne de La Boétie e di cui l'Italia è stata, negli ultimi decenni, modello insuperato nel mondo occidentale.
Non so perché oggi mi ricordo di quella serata di riflessioni, in cui più apprezzate delle parole (very politically oriented) di Zagrebelsky sono state le acute e sarcastiche citazioni (e di spessore) di Canfora. Non ben disposto, lui, a nobili (forse) spinte utopistiche, bensì sostenitore di quegli uomini di buona volontà disposti a intervenire concretamente e direttamente nel ventre corrotto di un sistema che sembra, se non perduto, precipitato nel caos.
Chissà cosa avrebbero oggi da aggiungere Zagrebelsky e Canfora...

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