venerdì 1 novembre 2013

«L'Islam è compatibile con la democrazia?» Risponde Massimo Campanini, curatore di "Le rivolte arabe e l'Islam" (Mulino, 2013)

Infiniti ancora i pregiudizi sull'Islam nel nostro Occidente. Forse dovuti a malafede, a semplice ostinata ignoranza o, peggio, all'assunzione acritica delle notizie e degli slogan trasmessi o propagandati dai media tradizionali. A questi, troppo spesso deleteri, si stanno per fortuna affiancando (e di gran corsa) siti web indipendenti e competenti, che non si occupano solo di fare cronaca seria del presente, ma anche di comprenderlo alla luce del suo passato complesso, e non prescindendo dal poliedrico pensiero politico che lo ha determinato.
Intanto, nell'ambito della Festa internazionale della Storia, a Palazzo Pepoli a Bologna, Massimo Campanini ha offerto qualche spunto utile.
E Campanini è voce degna di essere ascoltata. È il curatore del libro a più voci Le rivolte arabe e l'Islam edito dal Mulino nel 2013. Di formazione filosofica e studioso autorevole del pensiero politico islamico, attualmente docente di Storia dei Paesi islamici alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento, nel breve spazio di un incontro è riuscito ad aprire qualche spiraglio di comprensione.
Sul movimento dei Fratelli musulmani, soprattutto. Il cui nome fa paura, perché, come spesso accade, non lo si conosce. È di certo un movimento complesso. Le sue origini risalgono all'Egitto del 1928, dove nacque per iniziativa del maestro di scuola Hassan al-Banna. Si diffuse poi rapidamente nei territori arabi (dal Sudan alla Siria, dal Marocco all'Iran) riuscendo ad aggregare le varie anime del mondo musulmano.
Questo movimento non è mai stato una forza integralista né ha mai pensato di utilizzare strumenti terroristici. Se «lo jihad è la nostra strada» è tra i principi dei Fratelli musulmani, lo “jihad” è da intendersi (come da Corano) come lo “sforzo” individuale del fedele sulla via di Dio.
Non è la “jihad”-guerra santa a cui i media e la politicizzazione estremistica successiva ci hanno assuefatto. Semmai, all'interno dei Fratelli musulmani, sono sempre esistite due anime: un'anima legalista (aperta alla partecipazione alle elezioni e dunque a forme di rappresentanza politica) e un'anima movimentista e rivoluzionaria, nata solo successivamente però, in seguito all'acutizzarsi delle persecuzioni contro il movimento. Il responsabile di questa svolta è stato Sayyid Qutb. Il suo pensiero radicale è maturato proprio a causa della dura e continuata repressione operata contro i Fratelli musulmani e soprattutto durante i suoi anni di carcere. Ma, anche qui, mai Qutb parlò di terrorismo, bensì semplicemente della necessità di un urto rivoluzionario, in un momento in cui la via legalitaria sembrava preclusa. Sarebbero state altre associazioni, figlie dei Fratelli musulmani, a estremizzare il pensiero radicale di Qutb, soprattutto a partire dagli anni Settanta. Di certo, l'integralismo terroristico non è scritto nel Corano. È una reazione forte ed estrema, come spesso è accaduto nella storia (non solo araba), a repressioni e persecuzioni particolarmente dure e di lungo periodo.
Quale sarebbe però l'obiettivo politico dei Fratelli musulmani?
Il movimento nacque allo scopo abbattere i regimi corrotti e predatori al potere negli stati arabi. Per questo i Fratelli musulmani cercarono di cambiare la società dal basso, convinti che fosse necessario creare prima l'uomo islamico, che avrebbe potuto dar luogo a una società islamica e quindi a un governo islamico. Secondo molti studiosi, anzi, i Fratelli musulmani sarebbero stati i primi a creare un vera e propria organizzazione politica a base popolare.
Tutto ciò, per creare quale tipo di regime? Potrebbe mai questo regime essere conciliabile con la nostra idolatrata e idealizzata democrazia? Nel mondo arabo non si ambisce sempre a creare uno Stato teocratico? La risposta è un reciso no, per Campanini. Non fosse che per un motivo: la teocrazia (che in Occidente abbiamo ben conosciuto) presuppone l'esistenza di una Chiesa centrale che sia anche detentrice del potere politico. Mancando una Chiesa islamica, nei paesi islamici la teocrazia non è nemmeno ipotizzabile. Per di più, il pensiero islamico contemporaneo si confronta costruttivamente con il principio di democrazia.
Fin dal Medioevo, in realtà, concetti come “consultazione”, “consenso popolare” e “bene comune” (caratterizzanti il principio di democrazia ma presenti anche nel Corano) sono stati oggetto di riflessione da parte dei pensatori arabi. E proprio questi concetti vengono oggi ripresi e attualizzati. I cinque fini della Sharjah (difesa della vita, della religione, della ragione, della proprietà e della prole) non dovrebbero condurre proprio al "bene comune"? E i concetti di “consultazione” e “consenso” non troverebbero oggi possibilità di realizzazione attraverso la rappresentanza parlamentare?
Chiedersi allora se l'Islam sia compatibile con la democrazia, significa porsi una domanda retorica e faziosa. “Ci si chiede mai se il Cristianesimo o l'Ebraismo siano compatibili con la democrazia?”, è stata la provocazione di Campanini.
Massimo Campanini
Secoli di contrapposizioni storiche e l'acuirsi delle conflittualità e delle repressioni hanno condotto a luoghi comuni che, ahimè, non solo continuano a essere diffusi attraverso i media ma, troppo spesso, anche nelle istituzioni educative che dovrebbero formare i cittadini consapevoli e lucidamente critici del futuro.
Ci sono cose, io credo, che a volte siamo obbligati a fare. Conoscere il mondo arabo, oggi, è una di queste. Si può partire dal libro di Campanini o anche inserire il suo nome in un qualunque motore di ricerca per cominciare ad accedere a siti di informazione e approfondimento indipendenti capaci di fornire, finalmente, notizie e interpretazioni non propagandistiche o falsate da clichés datati che impediscono di districare la matassa ingarbugliata del mondo islamico. Perché si illude chi pensa di poter capire ciò che avviene oggi nel mondo islamico senza una valida conoscenza della storia di quel mondo, del pensiero islamico che vi si è agitato e vi si agita, e delle particolari forme che ha assunto nei paesi arabi, segnati da profonde differenze. 

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